In un precedente post, vi abbiamo parlato della profonda e sincera amicizia che univa Lord Byron al suo connazionale, lo scrittore Percy Bysshe Shelley. Di conseguenza Byron divenne intimo amico anche della moglie di Percy, Mary Wallstonecraft Godwin, autrice a soli diciotto anni del celebre romanzo gotico Frankenstein, o il moderno Prometeo, pubblicato nel 1818, e considerato ancora oggi il primo esempio di un nuovo genere narrativo: il romanzo di fantascienza.
Forse, però, non tutti sanno come quest’opera straordinaria sia venuta alla luce, nacque infatti quasi per gioco o meglio per una sfida, così abbiamo pensato di raccontarvela.
Nella primavera del 1816, Percy, Mary e la sorellastra di quest’ultima, Claire Clairmont, che di recente aveva intrapreso una relazione con Byron ed era rimasta incinta, decisero di trascorrere le vacanze estive sul lago di Ginevra raggiungendo il poeta che soggiornava nella villa Diodati vicino a Cologny. Gli Shelley avevano pianificato di trascorrere del tempo con Byron anche per prendere decisioni sul da farsi nei confronti della creatura che stava venendo al mondo. A villa Diodati, insieme a Byron, soggiornava anche John William Polidori, un medico di origini italiane, amico del poeta, che nutriva ambizioni letterarie.
Fu un’estate molto strana quella del 1816, un anno che fu definito “the year without a summer” (l’anno senza estate) perché caratterizzato da continue piogge e temperature che si abbassarono fino a zero gradi in conseguenza all’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia. Il clima inclemente e la pioggia incessante costrinsero spesso il gruppo di amici a rimanere in casa per giorni interi. In queste giornate vari furono gli argomenti affrontati dalla compagnia: gli esperimenti condotti da Erasmus Darwin (il nonno del più celebre Charles), il quale aveva sostenuto di esser riuscito a rianimare la materia morta, il galvanismo e la possibilità di ricomporre e ridare vita alle parti di un essere vivente. Sedendosi davanti al fuoco nella villa di Byron, i cinque amici si divertivano leggendo storie tedesche di mostri e fantasmi tradotte in francese e raccolte nell’antologia Fantasmagoriana, uscita pochi anni prima.
Suggestionato da questi discorsi e racconti, immerso in un’atmosfera claustrofobica dovuta al maltempo, Byron propose agli amici una sfida: ognuno avrebbe dovuto scrivere una storia di fantasmi. Idea entusiasmante e spaventosa allo stesso tempo.
Nel corso di una notte, Mary ebbe una potente visione, l’idea che divenne il romanzo Frankenstein:
“Vedevo -a occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta- il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla “cosa” che aveva messo insieme. Vedevo l’orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all’entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.”
La mattina seguente, Mary si svegliò e di getto scrisse queste parole: “Fu in una tetra notte di novembre…”
La stesura di Frankenstein era cominciata. Ci vollero altri nove mesi per terminare la storia.
Percy, dopo aver visto una prima bozza, la incoraggiò a proseguire ed espandere il racconto in ciò che sarebbe divenuto il romanzo d’esordio di Mary Shelley: Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo, pubblicato anonimo nel 1818.
In seguito Mary definì l’estate svizzera come “il momento in cui passai dall’adolescenza all’età adulta”.
Dopo una partenza in sordina, il libro ebbe un successo incredibile, anche grazie alla popolarità degli adattamenti teatrali. Questi spettacoli, tuttavia, così come i film che seguirono, cambiarono e semplificarono molto la versione originale.
Ma la sfida lanciata da Byron a villa Diodati portò alla stesura di altre storie. Mary, infatti, non fu la sola a intraprendere un racconto. Lo stesso Byron scrisse una storia terrificante Augustus Darvell, frammento di una storia di fantasmi pubblicata poi assieme a Mazeppa e a Ode in Venice nel giugno 1819. Un racconto breve ma che comunque aveva il pregio di contenere tutti i momenti salienti che diventarono fondamentali per il filone vampiresco: dai personaggi fortemente caratterizzati nel bene e nel male, agli scenari desolati e raccapriccianti.
Non ultimo, John W. Polidori, ispirato da un passaggio della storia di Byron, scrisse (in sole tre mattine) un racconto intitolato Il Vampiro, poi pubblicato nel 1819. Il racconto non era niente di speciale ma il ritratto che Polidori fece del suo Vampiro, romantico e aristocratico, ispirò alcuni anni dopo una storia destinata a divenire ben più famosa: Dracula di Bram Stoker (1897).
Insomma un gioco, quello proposto da Byron, che portò alcune menti giovani, brillanti e soprattutto anticonformiste a generare storie destinate a trasformarsi in dei classici della narrativa horror e fantascientifica.
Sono trascorsi più di duecento anni da quello strano “anno senza estate” e ovunque, in tutto il mondo, le persone conoscono il romanzo di Mary. Probabilmente la più grande storia del terrore di tutti i tempi, scritta quasi per gioco da una ragazza di soli diciotto anni.
Una curiosità in più:
Il Tambora e i tramonti di Turner
Secondo alcuni critici d’arte, gli incredibili tramonti dei quadri del pittore inglese J. M. William Turner sono il ricordo di quello che osservò tra il 1815 e il 1816.
Tra l’estate e l’autunno 1815 i cieli europei erano “infiammati” al tramonto: ne parlano le cronache del tempo. Il fenomeno era probabilmente dovuto alla particelle di cenere scagliate nella stratosfera dall’esplosione del Tambora, che i venti in quota trasportarono fino in Europa.