La protagonista Giuliana, interpretata magistralmente da Monica Vitti, è come le precedenti eroine dei suoi film, insofferente della vita che conduce e incapace di superare i limiti di un’esistenza inutile. È lei che soffre maggiormente di tutta questa rincorsa al progresso. La solitudine, l’incomprensione, banalizzate da una nevrosi per un incidente d’auto, sono i temi fondamentali, assieme alla violenza al paesaggio, che sovrastano il film.
C’è qualcosa di terribile nella realtà, e io non so cos’è. Nessuno me lo dice.
Giuliana/Monica Vitti
Quella che emerge non è la Ravenna dei mosaici e delle biciclette ma la Ravenna del lavoro e dell’industria, protagonista di un mondo che cambia e che corre verso il futuro. Antonioni, da buon ferrarese, conosceva bene Ravenna ed era rimasto particolarmente colpito da quella strana commistione di natura e industria. Ciminiere che crescevano in mezzo alla pineta, Ravenna in quegli anni era il secondo porto d’Italia, era la città in cui “in mezzo agli alberi ci passavano le navi”.
Paesaggi desolati, luoghi oggi in gran parte dismessi, come le Torri Hamon, ma pur sempre di una struggente bellezza di cui mai riusciremmo a fare a meno.
10 cose che (forse) non sai sul film Deserto rosso
- Deserto rosso (1964) non è il primo film girato da Michelangelo Antonioni a Ravenna. Già nel 1957 il noto regista scelse Ravenna per ambientarvi alcune scene de Il grido, pellicola prevalentemente ambientata nella Bassa padana tra Contarina e Porto Tolle. Le scene girate a Ravenna sono quelle all’ospizio per gli anziani riprese al ricovero “Garibaldi”; quelle del raduno motociclistico riprese nel grande spazio erboso, oggi urbanizzato, e dove sorgono le strade via Rubicone e via Pamphilia; poi di fronte a Santa Maria in Porto e nello spiazzo antistante l’attuale Accademia di Belle Arti (via delle Industrie) dove Aldo (Steve Cochran) fa a pugni con un gruppo di giovani che infastidiscono Virginia (Dorian Gray). L’incontro di boxe fu invece girato al teatro di Russi.
- Deserto rosso è il nono lungometraggio di Michelangelo Antonioni ed è il primo a colori.
- Deserto rosso ha ricevuto importanti riconoscimenti, in particolare è stato premiato a Venezia nel 1964, alla XXV Mostra del Cinema, con il Leone d’Oro e, nel 1965, ha ricevuto il Nastro d’Argento per la fotografia di Carlo Di Palma.
- Deserto rosso è interamente girato a Ravenna, sia in interni sia in esterni, fatta eccezione per la favola raccontata dalla Vitti al piccolo Valerio girata sull’isola di Budelli in Sardegna.
- Esiste una discrepanza in merito al titolo: il film è generalmente conosciuto come Deserto rosso, e così è in effetti indicato sulla locandina originale e sul Dizionario dei film Morandini, mentre il titolo corretto dovrebbe essere Il deserto rosso, come indicato nei titoli di testa e riportato da Il Mereghetti e dall’Internet Movie Database.
- La sceneggiatura del film Deserto rosso è di Michelangelo Antonioni e di Tonino Guerra. La collaborazione con il santarcangiolese Tonino Guerra è stata lunga e proficua. Antonioni diceva di Guerra: “Lui è romagnolo, io sono emiliano. C’è un abisso tra di noi. Forse è per questo che andiamo d’accordo”.
- Il quadro che compare nel film è La Sagra della Primavera del pittore spazialista Gianni Dova, scelta da Antonioni dopo averla vista nella collezione privata del collezionista ravennate Roberto Pagnani durante un ricevimento in casa sua.
- È diventata celebre la battuta di Monica Vitti: “Mi fanno male i capelli”, in realtà citazione da una poesia di Amelia Rosselli.
- Il film si chiude con parole cariche di una non nascosta “nostalgia di una natura incorrotta e misteriosa”. Fra cumuli di rifiuti industriali, davanti ad una torre di raffreddamento che sputa un fumo denso e giallo, il piccolo Valerio chiede alla mamma: “Perché il fumo è giallo?”, “Perché c’è il veleno”, risponde Giuliana. “Allora se un uccellino passa lì, muore”. “Sì, ma gli uccellini ormai lo sanno e non ci passano più”.
- Antonioni decise, durante le riprese, che il bosco di pini che doveva fare da cornice a una scena del film fosse bianco, per fare da sfondo ideale a ciò che lui voleva mostrare attraverso l’occhio della telecamera: “…quel verde andava eliminato se volevo che il paesaggio acquistasse una sua originale bellezza, fatta di grigi aridi, di neri imponenti, e semmai di pallide macchie rosa e gialle, tubi o cartelli lontani”. Antonioni trascorse tre giorni interi facendo dipingere di bianco le conifere e annotando le proprie riflessioni su un diario che in seguito venne pubblicato. Ma, come raccontò lui stesso nel diario, l’intervento non funzionò: dopo tre giornate di nebbia, il mattino successivo c’era un bellissimo sole che sciolse completamente la pittura. E così la scena del bosco bianco nel Deserto rosso non fu mai girata.
Mai fidarsi delle previsioni del tempo!
Un’ultima curiosità: la nota fotografa forlivese Silvia Camporesi ha realizzato nel 2012 un progetto dedicato ad Antonioni in occasione del centenario della nascita del regista ferrarese, intitolato “Qualche volta, di notte“.
Tra gli scatti realizzati dall’artista, ce n’è uno che ritrae il famoso “bosco bianco”.
Qui il link QUALCHE VOLTA, DI NOTTE ‹ Silvia Camporesi Official Site
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