Oggi ridente cittadina a qualche chilometro dal mare, verso cui si stende nella riposante pianura romagnola, un tempo Ravenna era circondata dalle acque.
Circa 3000 anni fa, popolazioni provenienti da Est vi costruirono le loro abitazioni: palafitte su isolotti collegati da ponti. Poi, ad esse, si avvicendarono altri popoli, fra cui gli Umbri, nel V sec. a.C, ed i Celti, nel IV sec. a.C.
Grazie al mare che un tempo la sfiorava e alle lagune che la circondavano, Ravenna entrò per sempre nella storia. L’acqua non permetteva l’accesso ai nemici, ma si rivelava un utilissimo mezzo di rifornimento in caso di assedio ed una preziosissima via di fuga in caso di pericolo estremo.
Nel 49 a.C. Giulio Cesare partì da Ravenna per varcare il Rubicone e giungere trionfatore a Roma. E a Ravenna, nel I sec. d.C., Cesare Augusto decise di costruire un grande porto militare. Il toponimo Classe ricorda la flotta pretoria che vi faceva stanza a difesa dell’Adriatico e della parte orientale dell’Impero. E per la flotta venne introdotto il pino, il cui legno serviva alla costruzione delle navi.
Con Miseno, nel golfo di Napoli, il porto di Ravenna controllava tutto il Mediterraneo. Ed imponente era il numero di navi militari che vi ormeggiavano: 250, riportano le fonti. Nel corso dei secoli, esso si trasformò, da militare a commerciale e Ravenna vanta ancora oggi uno dei maggiori porti della penisola.
In seguito le sue acque e la sua posizione strategica le fecero assumere un altro ruolo preponderante. Infatti, nel 402 d.C., l’Imperatore Onorio la scelse come capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Cominciò per essa un lungo periodo di splendore ed il suo nome si legò indissolubilmente a quello di una Nobilissima. Figlia, sorella e madre di imperatori, Galla Placidia fece costruire a Ravenna numerosi edifici e meravigliosi monumenti.
Scrigno di preziosi gioielli, il centro cittadino ci rivela una gloria ineguagliabile. Giunti al Mausoleo della Nobilissima, lo sguardo percorre un edificio modesto e rimane stupito per tanta semplicità. Ma il mistero si svela entrando. Ed ecco che l’anima cristiana di Galla Placidia rivive: semplice esteriormente e ricca interiormente. A bocca aperta, in silenzio, il visitatore ammira la decorazione musiva. All’interno della tomba non è l’oscurità che trionfa ma la luce, non è la morte che si impone ma la vita, non è il nero che vince ma il colore Rosso, Verde, Oro e soprattutto Blu notte si uniscono per celebrare il trionfo della vita eterna. Armonia e pace ci avvolgono, in una spirale di colori.
Poi l’Impero Romano decadde. I barbari giunsero da ogni parte e lo minarono per sempre. Ma Ravenna sopravvisse. Proprio quando la grandezza di Roma si spegneva, Ravenna si risollevò per diventare ancora grande.
L’erulo Odoacre vi stabilì la propria residenza e ne ampliò le mura. Il goto Teodorico la nominò capitale del suo Regno. Con quest’ultimo Ravenna visse 33 anni di prosperità, tanto da essere definita Ravenna Felix, espressione che ci accompagna ancora oggi nel titolo di una accuratissima serie di pubblicazioni. Teodorico restaurò l’antico acquedotto fatto costruire da Traiano per portare in città l’acqua potabile e fece costruire numerosi edifici, fra cui il suo Mausoleo e la Basilica di S. Apollinare Nuovo.
Con la sua mole bianca di pietra d’Istria, il Mausoleo si erge dove un tempo chi giungeva dal mare poteva immediatamente scorgerlo nella sua imponenza. Un masso di quasi trecento tonnellate lo sovrasta ed alla crepa che lo percorre si sono collegate nel tempo innumerevoli leggende, fra cui quella della morte del grande re per opera di un fulmine, come una strega gli avrebbe predetto.
Teodorico fece erigere la Basilica di S. Apollinare Nuovo, un tempo dedicata a Nostro Signore Gesù Cristo, come sua cappella palatina. Certamente gli ospiti di palazzo che la visitarono non rimasero indifferenti di fronte alle fasce musive nella cui estensione lo sguardo si perde. Ma alla morte di Teodorico, re barbaro e ariano, il monumento subì l’azione depurativa di chi salì al potere. Grandi mosaici si persero per sempre, lasciando spazio a due lunghe processioni di epoca giustinianea.
Infatti, nel 540 le truppe del generale Belisario entrarono in Ravenna in nome dell’Imperatore Giustiniano. Si impadronirono della città che, nuovamente, ritornò a splendere; questa volta nell’esaltazione della potenza dell’Impero Bizantino. Il VI secolo fu per Ravenna un periodo di tale fasto e grandezza da vedere la costruzione contemporanea di due imponenti basiliche: S. Apollinare in Classe e San Vitale. Per uno strano disegno del destino, i due santi ci accolgono ora, insieme, uno accanto all’altro, nella piazza centrale della città.
A pianta longitudinale, la Basilica di S. Apollinare conserva le spoglie del primo vescovo di Ravenna e patrono della città. Costruita a Classe, vicino all’ingresso dell’antico porto, troneggia sulla campagna circostante, con un campanile del X secolo che si erge a vedetta. Entriamo e lo spazio sembra dilatarsi. Imponente dall’esterno, la basilica è immensa all’interno. Quasi ci perdiamo, finché la croce mosaicata dell’abside, magistrale Trasfigurazione del Cristo, non cattura il nostro sguardo ed allora le andiamo incontro, richiamati da uno splendore che va oltre la luce delle tessere.
A pianta centrale-ottagonale, la Chiesa di S. Vitale ci avvolge nel suo spazio così ampio, ma così raccolto. Gli spazi si distribuiscono, grazie all’ambulacro che ci circonda e al matroneo che ci sovrasta. Poi il mosaico attira la nostra attenzione. Le parole del prete durante la celebrazione dell’Eucarestia ci ritornano alla mente. Tutto è nel mosaico: Abele, Abramo, Melchisedec. E, accanto ad essi, i ritratti imperiali ci ricordano che furono Giustiniano e Teodora a volere tale edificio.
Poi Ravenna ospitò gli Esarca e nel 751 cadde in mano dei Longobardi. Poi i Franchi, poi i Papi. Poi le famiglie ravennati si contesero il governo della città e fra esse spunta, per sempre nella storia, quella dei Da Polenta.
Fu Guido Novello Da Polenta che qui ospitò Dante Alighieri. Ed era una Da Polenta la Francesca immortalata per sempre nei divini versi. Il poeta rimase in città fino alla morte, avvenuta la notte tra il 13 ed il 14 settembre 1321. Oggi possiamo ammirarne il sepolcro, di costruzione posteriore. Semplice e modesto, come lo volle il Cardinale Luigi Valenti Gonzaga che nel 1780 lo commissionò, forse esso non omaggia a sufficienza il sommo Poeta. Ma quale monumento ne sarebbe mai all’altezza? L’affetto degli abitanti certamente è molto più profondo e sembra compensare questo semplice sepolcro. Ogni anno la città si raccoglie nella Zona del Silenzio e ricorda l’anniversario della morte di Dante, riportando alla vita usi e costumi a lui contemporanei. Ogni sera la campana della vicina basilica di S. Francesco, in cui vennero celebrati i funerali, batte tredici rintocchi alla di lui memoria. Ed ogni volta che passiamo davanti alla nostra “zucarira”, lo sguardo si sofferma un istante ed il pensiero saluta il Poeta.
Ogni dominazione lascia in Ravenna delle tracce indelebili. A testimonianza della dominazione della Serenissima, rimangono l’imponente Rocca Brancaleone e la centrale Piazza del Popolo. Le vicende storiche ci portano poi alla cruenta battaglia del 1512. Dominio papale in seguito, nel 1860 infine la città passa al Regno d’Italia.
Oggi Ravenna conserva con orgoglio un grande passato. Percorriamo le sue strade ed un’onda ci avvolge: è quella delle biciclette che, come le acque di un tempo, proseguono veloci lungo il loro percorso. Camminiamo per il centro e ne scopriamo gli angoli nascosti. Ed ancora, ovunque, attorno alla città, tutto è storia e tutto è presente, mescolati per sempre negli edifici, nella natura, nelle tradizioni e persino nei nostri cibi.